John Harrison

L’evoluzione degli orologi con molla e bilanciere subì una improvvisa svolta con l’opera di John Harrison (1693-1776). Figlio di un carpentiere di un piccolo paese dello Yorkshire (Barrow), perfetto autodidatta, acquisì cognizioni scientifiche nell’ambito della meccanica e della matematica nonché una profonda conoscenza degli orologi meccanici.

Avviata l’attività di riparatore, fu attratto dalla sfida di costruire orologi sempre più precisi profondendo una originalità ed una immaginazione tecnica che gli esperti giudicano ineguagliata. Non temeva le soluzioni originali o addirittura contrarie alla prassi per cui non esitò ad abbandonare l’ottone e a realizzare i meccanismi in legno che, non necessitando di lubrificanti, restavano puliti e si usuravano in misura assai ridotta. Così, realizzò

le ruote in legno di quercia, gli assi in legno di bosso, gli alloggiamenti degli assi in durissimo lignum vitae importato dai tropici. Ideò anche un inedito ed efficientissimo scappamento detto a cavalletta che al pari di altre sue originalissime soluzioni non ebbe seguito poiché legate alla sua eccezionale abilità tecnica. Evitò in modo originale l’effetto della temperatura sul ritmo del pendolo introducendo un sistema di compensazione basato sul diverso coefficiente di dilatazione dell’ottone e dell’acciaio.

La sua prima realizzazione importante fu una coppia di orologi a pendolo che raggiungevano una precisione dell’ordine di un secondo al mese. Un risultato che sarà superato solo nel 1889 quando fu introdotto il nuovo regolatore Riefler e che Harrison considerò come preparatorio per competere al concorso bandito con il Longitude Act. Per questo si recò a Londra trovando un solido appoggio nel grandissimo tecnico George Graham, generoso al punto tale da fornire consigli, finanziare l’impresa, e ad introdurlo nei giusti ambienti.

Tornato a Barrow, nel 1729 intraprese la costruzione del primo cronometro marino che lo occupò per sei anni. Ne nacque Harrison numero uno (H1), un congegno alto 84 cm e pesante 33 Kg, con ingranaggi in legno di quercia e dentatura pure in legno, congiunta a mortasa per mezzo di una scanalatura lungo il bordo. Alimentato da due molle motrici equalizzate da un fuso centrale, era dotato di un nuovo scappamento con ruota in ottone ed un doppio bilanciere a barra con un originale sistema a grata bimetallica per la compensazione della temperatura. L’orologio, sperimentato in un viaggio di andata e ritorno da Londra a Lisbona, diede ottimi risultati, tuttavia la commissione non assegnò il premio non ritenendo conclusiva la prova, ma almeno concesse un piccolo sussidio per continuare il lavoro.

Così, dal 1735 al 1739 Harrison costruì H2 e dal 1740 al 1757, in ben 17 anni di lavoro, costruì H3. Entrami di taglia comparabile con H1, non furono mai provati in mare ma servirono ad Harrison per perfezionare la tecnica fino al suo limite estremo, per limitare gli attriti, compensare gli effetti della temperatura e rendere costante la forza fornita dalle molle di carica (il grande esperto Rupert Gould, che negli anni ’20 restaurò e rimise in funzione gli orologi di Harrison, dichiarò che il sistema a fuso centrale realizzato da Harrison era il più perfetto che avesse mai visto, capace di assicurare un momento torcente costante dalla massima carica iniziale alla fine, con le molle di carica quasi distese).

Nel 1757, dopo la presentazione di H3, dichiarò che avrebbe costruito un nuovo orologio, di taglia sufficientemente piccola da essere tenuto in mano. Così, nel 1759 apparve H4, con un diametro di poco superiore ai 13 cm, era destinato a diventare “il più celebre cronometro mai realizzato e che mai sarebbe stato realizzato in futuro” (Rupert Gould). Lo stesso Harrison era ben cosciente della eccezionalità del risultato “credo di potere affermare senza falsa modestia che nessun altro oggetto meccanico o matematico al mondo è più bello o di più straordinaria fattura di questo mio orologio o cronometro per la rilevazione della longitudine…e ringrazio con tutta l’anima Iddio Onnipotente per avermi concesso di vivere abbastanza a lungo da poterlo, in qualche misura, completare”. Le dimensioni ridotte non ammettevano il suo scappamento a cavalletta così Harrison non esitò a ritornare ad uno scappamento a verga interamente riprogettato. Un gran numero di pietre dure proteggevano gli assi dei ruotismi, le levette della verga erano sagomate in forma cicloidale e realizzate in diamante, mentre il bilanciere era compensato contro le variazioni di temperatura con un freno bimetallico.

Nel 1761 HN4 fu provato sulla rotta da Londra a Giamaica soddisfacendo le condizioni poste dal premio bandito con il Longitude Act. La Commissione prese atto del risultato positivo ma ricordò che era necessario mostrare che il metodo funzionasse molte volte di seguito e che fosse accessibile a tutti. Nel 1764 seguì allora una seconda prova sulla rotta da Portsmouth e Barbados. Il risultato fu stupefacente poiché in 5 mesi di navigazione l’orologio perse 15 secondi (ovvero meno di 1/10 di secondo al giorno!), con un errore sulla determinazione della longitudine di poco meno di 1/6 di grado (10 minuti d’arco), ben al di sotto del limite fissato per il primo premio.

Ancora una volta la Commissione non giudicò soddisfacenti le prove fornite. Forse condizionata dall’influente astronomo Maskelyne, da poco nominato nuovo membro, la commissione ritenne addirittura necessario ridefinire le condizioni per ottenere il premio con un nuovo decreto del parlamento del 1765. Secondo tale decreto per ottenere la prima metà del premio Harrison avrebbe dovuto consegnare tutte le macchine precedentemente realizzate illustrandone i principi di funzionamento, mentre avrebbe ottenuto la seconda metà solo dopo che un qualche orologiaio non avesse fabbricato un orologio dello stesso tipo capace di misurare la latitudine con una precisione di almeno ½ grado (30 minuti d’arco). Con tutta evidenza si era nel mezzo di un’aspra contesa di natura non solo scientifica ma anche personale. Infatti Maskelyne era uno scienziato, strenuo difensore del metodo astronomico, mentre Harrison era un tecnico che credeva fermamente nel metodo dell’orologio, inoltre i due si conoscevano e detestavano con tutte le loro forze. Il problema si risolse con l’intervento diretto del Re Giorgio d’Inghilterra – lui stesso dilettante di orologeria – che propose, con voto favorevole del parlamento, di attribuire ad Harrison l’intero primo premio di 20.000 sterline, una cifra enorme, attualizzata al valore di circa 12 milioni di euro, per una “invenzione” che aveva determinato un progresso fondamentale nell’arte della navigazione, incrementando i commerci e contribuendo al salvataggio di tante vite.

L’eredità di Harrison

Gli orologi di Harrison segnarono un raggiungimento tecnico formidabile, funzionarono molto meglio di qualunque altro congegno coevo, uno di essi perse meno di un minuto in 10 anni! Tuttavia, quasi nessuna delle sue geniali intuizioni tecniche furono adottate dai cronometri marini che si affermarono nel corso del ‘800 poiché la loro diffusione richiedeva non solo alte prestazioni – quelle degli orologi di Harrison erano quasi insuperabili – ma anche drastiche semplificazioni per abbattere i costi di produzione. Ad una valutazione retrospettiva, il suo maggiore merito fu quello di avere dimostrato che lavorando sul contenimento degli attriti e degli effetti della temperatura l’orologio meccanico poteva raggiungere la precisione e l’affidabilità necessarie per misurare la longitudine. La lucida comprensione di questo fatto, unità ad una straordinaria perseveranza, lo pose molto al di sopra della maggior parte dei suoi contemporanei, anche grandissimi scienziati, che non intuirono con altrettanta chiarezza le potenzialità dell’orologio meccanico.

Le soluzioni tecniche che renderanno possibile la produzione del cronometro marino su scala semindustriale saranno messe a punto dai grandi orologiai inglesi e francesi della generazione successiva. Questi ultimi cercarono di recuperare l’incontestabile vantaggio tecnologico acquisito dalla orologeria inglese sostenuti dalla energica politica dell’Accademia delle Scienze di Francia che a partire dal 1748 mise in palio cospicui premi in denaro. Tra tutti citiamo Pierre Le Roy (1717-1785), Ferdinand Berthoud (1727-1807) e poi Abraham Louis Breguet (1747-1823) che ebbero il merito di dotare la Francia di cronometri marini capaci di competere con quelli inglesi. In Inghilterra dobbiamo invece citare John Arnold (1736-1799) e soprattutto Thomas Earnshow (1749-1829) cui si deve lo scappamento a scatto e la compensazione bimetallica del bilancere che saranno definitivamente adottate da tutti i cronometri marini per i successivi 150 anni : “se vi mostrassi, pezzo per pezzo, un cronometro di Earnshow del 1795 e uno strumento analogo dei nostri giorni, vi sarebbe difficile secondo me, scoprire una qualche differenza e nel meccanismo e nell’aspetto esterno, e questo è un segno di quanto dobbiamo alla sagacia meccanica di un uomo che è morto più di cent’anni fa” (Rupert Gould, 1935).

I nuovi cronometri marini si imposero, soprattutto nell’ambito della marina mercantile, a partire dagli inizi dell’800 soppiantando gradualmente il metodo delle distanze lunari che richiedeva personale adeguatamente formato. I fattori determinanti furono l’abbattimento dei costi a fronte di una precisione dell’ordine di un secondo al giorno, ampiamente sufficiente per una determinazione accurata della longitudine. A bordo di una nave vi erano spesso tre cronometri e la misura della longitudine era ottenuta scartando le indicazioni dell’orologio che non segnava il tempo degli altri due.

Intorno al 1815 la produzione industriale ammontava a circa 5000 unità annue di cui il 90% in Inghilterra e circa il 10% in Francia. I grandi nomi firmavano oltre la metà della produzione industriale, Arnold ed Earnshow, ad esempio, ne firmavano circa il 30%. Il costo dipendeva ovviamente dalle prestazioni richieste ed oscillava dall’equivalente di 6 mesi a 2 anni di del salario di un operaio specializzato che potremmo attualizzare in un costo compreso tra i 10.000 ed i 40.000 euro. Gli orologi inglesi divennero più economici di quelli francesi e, pur funzionando molto bene, non raggiungevano l’accuratezza dei migliori modelli francesi che però avevano un costo notevolmente superiore.

La determinazione della longitudine fu affidata all’orologio meccanico fino ai primi decenni del ‘900 quando le scoperte di Marconi aprirono la strada alla navigazione via radio. Il primo segnale orario per la navigazione fu irradiato nel 1907 e divenne lo standard della navigazione oceanica subito dopo la II guerra mondiale segnando il definitivo tramonto del cronometro marino.