Approfondimento: L'almagesto di Claudio Tolomeo

Al tempo di Tolomeo la sfericità della terra era un fatto acquisito. Aristotele cerca di fondarlo su evidenze sperimentali:

le stelle visibili a Cipro sono diverse da quelle visibili poco più a nord, dunque la terra è sfera non grande;
durante le eclissi la terra proietta un’ombra circolare sulla luna anche se Tolomeo preferisce affidarsi alle seguenti osservazioni:
quando la luna entra nel cono d’ombra della terra all’inizio di una eclissi l’evento viene registrato in orari diversi della giornata dai diversi osservatori sulla terra. Mano a mano che un osservatore viaggia verso nord, spariscono le stelle a sud ed aumentano quelle circumpolari i naviganti vedono sorgere le montagne dal mare.
Tolomeo compara il raggio terrestre con quello della sfera celeste e conclude che la terra è come un punto: Infatti le dimensioni delle stelle e le loro posizioni relative appaiono essere le stesse in ogni punto della superficie terrestre, così la sfera armillare opera nello stesso modo in ogni punto della superficie terrestre, Inoltre l’orizzonte di ogni osservatore terrestre contiene sempre metà della volta celeste. Questi fatti sono possibili solo se la terra è puntiforme rispetto alla volta celeste. Per quanto riguarda la immobilità della terra al centro del cielo entra in gioco la concezione aristotelica della meccanica che vede il cielo costituito da una massa sferica di etere capace di esercitare una pressione sugli oggetti posti al suo interno come un fluido.
I corpi poco densi tenderanno allora a ‘galleggiare’ e dunque a spostarsi verso il cielo. Quelli pesanti invece tenderanno ad affondare e dunque a spostarsi verso il basso. La terra perciò cadrà inevitabilmente verso il centro del cielo. Se si spostasse da tale posizione, essendo più pesante di tutti i corpi materiali giacenti sulla terra, essa cadrebbe verso il centro più rapidamente di tutti. In più la terra per Aristotele non può ruotare attorno ad un asse. Se lo facesse si lascerebbe indietro l’aria, le nubi e gli oggetti volanti. quindi la terra è immobile al centro del cielo.
Il concetto di un cielo di forma sferica in rotazione attorno ad un certo asse è evidente a chiunque abbia osservato con un minimo di attenzione la volta celeste. Il sole, la luna e le stelle sembrano muoversi nel cielo lungo archi di cerchio paralleli sempre più completi mano a mano che si sposta lo sguardo verso nord dove si vedono le stelle compiere cerchi perfetti e concentrici attorno ad un punto fisso della volta celeste. Nel corso di tali movimenti però le stelle mantengono le stesse posizioni relative come se fossero infisse su di una grandissima sfera rotante. La sfera inoltre possedeva quelle proprietà di simmetria e semplicità che il pensiero greco tendeva a considerare prove di verità. L’ultima argomentazione spinge questo concetto al punto estremo e risulta per noi non accettabile:

  1. il cielo è costituito di etere, la materia più fine ed omogenea che si conosca;
  2. tale materia deve essere costituita da particelle della forma più regolare (sferica)
  3. ogni sostanza fisica omogenea costituita da particelle avrà la forma delle particelle stesse ovvero la forma sferica.

I movimenti della sfera celeste però non esauriscono i movimenti degli astri.
Nel cielo ci sono due tipi di movimento. Il primo e più importante è il moto di rotazione che trascina tutti i corpi celesti da est a ovest lungo archi di cerchio con moto uniforme. Poi, vi è un secondo moto che interessa il sole, la luna e cinque stelle erranti (i pianeti). Questi sette corpi celesti si muovono, ognuno in modo diverso, lungo l’eclittica, retrocedendo di giorno in giorno da ovest verso est con moto contrario al precedente e piccoli spostamenti laterali. Lo scopo dell’almagesto è soprattutto quello di descrivere questo lento moto del sole, della luna e dei pianeti sullo sfondo della sfera delle stelle. Tolomeo è molto attento nel riconoscere i contributi di chi lo ha preceduto, ad esempio Ipparco e Apollonio, molti lavori dei quali sono noti attraverso la sua testimonianza e dei quali si considerava come colui che doveva completarne l’opera. Ciò è particolarmente vero nel caso nel caso della teoria del moto solare che assume l’impostazione teorica d’Ipparco e si fonda sulle osservazioni astronomiche dello stesso Ipparco oltre che su osservazioni babilonesi certamente disponibili allora presso la biblioteca di Alessandria.
Il problema della teoria di Tolomeo, ma potremmo dire il problema di gran parte della astronomia greca, fu quello di rendere conciliabile la rigida concezione aristotelica del cosmo con le osservazioni astronomiche. Nel De Coelo Aristotele afferma che i corpi costituiti di materia ordinaria hanno un moto naturale rettilineo uniforme (una forma rudimentale di legge d’inerzia) mentre quelli costituiti di etere o quintessenza come i pianeti hanno un moto naturale circolare uniforme centrato sulla terra. Ne consegue:

  1. la circolarità ed uniformità delle orbite planetarie
  2. la loro concentricità alla terra

Queste rigide prescrizioni proponevano un modello di grande coerenza ed eleganza che però si era trovato in conflitto con le osservazioni. Da quel momento in avanti gran parte dell’astronomia greca può essere letta come il tentativo di accordare in qualche modo il principio dei moti circolari uniformi concentrici con i moti reali degli astri. In particolare, nel caso del moto solare, il problema era quello di conciliare il principio del moto circolare concentrico con la diversa durata delle stagioni.
Per comprendere il tipo di difficoltà, possiamo porre la terra immobile al centro e tracciare il cerchio concentrico del lento moto annuale del sole lungo l’eclittica. Era ben noto a Tolomeo che le stagioni erano scandite dall’altezza del sole rispetto al piano equatoriale e dunque in ultima analisi dalle intersezioni del cerchio eclittico con il piano equatoriale che avviene come noto nei punti vernali o punti equinoziali gamma-minuscolo (oggi punto dell’ariete) ed omega-maiuscolo (oggi punto della bilancia) che in proiezione piana si trovano facendo uscire una retta dalla terra fino ad intersecare l’eclittica. Tracciando la retta ad essa perpendicolare fino ad intersecare l’eclittica si trovano poi i punti solstiziali. Con tutta evidenza se il moto del sole lungo l’eclittica è uniforme le stagioni devono avere la stessa durata in conflitto con le osservazioni già note ad Ipparco e fatte proprie da Tolomeo che indicano invece una primavera di 94,5g; un’estate 92,5g a fronte di un anno tropico 365,25g. Per risolvere il problema Ipparco e Tolomeo propongono di mantenere il principio del moto circolare uniforme lasciando però cadere quello della concentricità con la terra. Con un calcolo di semplice trigonometria piana Tolomeo sposta il centro del cerchio eclittico nella direzione di 65 gradi e 30 primi. Questo valore ,che diventerà anche la direzione dell’apogeo come pure il valore della eccentricità pari 1/24, sarà così capace di riprodurre la corretta durata delle stagioni. Fissate queste condizioni l’almagesto non fa altro che tabulare l’equazione oraria del moto solare lungo l’eclittica.