Approfondimento: Astrolabio

L’astrolabio (dal greco ASTROLABOS, ASTRON astro, LABO=LAMBANO prendere, letteralmente “che prende gli astri”) è certamente uno degli strumenti più affascinanti della antichità, un telefono cellulare antelitteram che racchiude in sè moltissime funzioni. Uno strumento che permette di determinare l’ora del giorno e della notte; di misurare l’altezza delle stelle e del sole rispetto all’orizzonte; di prevedere le ore del loro sorgere e del loro tramontare in ogni giorno dell’anno; di misurare le altezze angolari di un qualunque riferimento; di calcolare analogicamente certe funzioni trigonometriche e persino di formulare oroscopi. E’ leggero e poco ingombrante, assai diffuso e molto usato per oltre un millennio (dal V al XVII secolo), uno “status symbol” dell’antichità, segno di cultura e ricchezza, che ha raggiunto nelle mani degli artigiani arabi un grado di insuperabile bellezza e preziosità.

L’inventore dell’astrolabio non è noto, tuttavia lo strumento è un evidente prodotto delle conoscenze matematiche ed astronomiche greco-alessandrine già disponibili al tempo di Ipparco di Nicea (200-120 a.C.). La più antica testimonianza scritta riconducibile all’astrolabio risale al II sec. d.C. e precisamente al Planisfero di Claudio Tolomeo, un’opera dove viene discusso il concetto di proiezione stereografica che ne costituisce il fondamento matematico. Il trattato sull’astrolabio, scritto da Teone d’Alessandria nel IV secolo citato da Giovanni Filopono – un tardo commentatore greco del VI sec. –, dimostra che lo strumento doveva essere ben noto nei secoli immediatamente seguenti l’opera di Tolomeo sebbene non ne sia mai stato rinvenuto alcun esemplare.

Gli arabi, eredi delle conoscenze scientifiche greco-alessandrine, portarono l’astrolabio al massimo grado di perfezione e bellezza già nel IX e X secolo come testimoniato dai più antichi strumenti oggi noti. I primi trattati in ambito islamico furono scritti da Messala (Masha’allah ibn Atharī 740-815 circa), Alī ibn ʿĪsā al-Asṭurlābī (IX sec.) e Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi (780-850) e, sopratutti, Muhammad al-Battani (858-929 d.C.) – noto in occidente con il nome di Albatenio e spesso riferito dai trattatisti moderni come il Tolomeo degli Arabi – che diede la base matematica definitiva dello strumento.

Ulteriori studi e perfezionamenti si susseguirono nel corso di tutto il medioevo islamico fino alla reintroduzione in ambito europeo attraverso i trattati di Gerberto di Aurillac (940-1003 d.C.) – poi papa Silvestro II – e del monaco tedesco Herman Contractus (1013-1054). Nei secoli seguenti lo strumento si diffuse un po’ ovunque tanto che ci è giunto, purtroppo incompleto, un trattato sull’astrolabio scritto dal poeta inglese Geoffrey Chaucer (1343-1400 circa) per il suo figlio forse prematuramente scomparso. Lo strumento conobbe una larghissima diffusione fino al XVII secolo quando cominciò a declinare a seguito della scoperta del telescopio e del perfezionamento dell’orologio meccanico, trasformandosi nel moderno sestante che dell’astrolabio sviluppa al massimo grado la capacità di misurare l’altezza degli astri rispetto all’orizzonte.

L’astrolabio è essenzialmente una proiezione sul piano della sfera armillare. Dato che la sfera armillare altro non è che un modello del cosmo capace di descrivere il movimento degli astri visibili ad occhio nudo, ne consegue che l’astrolabio è a sua volta una rappresentazione del cosmo che proietta gli astri ed i loro movimenti su di un piano. Come la sfera armillare, l’astrolabio descrive l’intero cosmo visibile ma in un formato compresso che si riduce ad un disco metallico dell’ordine della decina di centimetri o poco più, facilmente trasportabile ed utilizzabile in tutti i contesti in cui si devono ottenere informazioni dalla posizione degli astri, proprietà che ne hanno decretato il successo e la diffusione per oltre un millennio.

In quanto descrizione piana del cosmo visibile, l’astrolabio può essere impiegato in tutti i problemi di astronomia pratica compresa la funzione di ‘orologio’ sia diurno che notturno che giustifica la sua esposizione in questa prima sala e che offre un buon esempio per comprenderne il principio generale di funzionamento. Immaginiamo allora di essere a San Giovanni in Persiceto e di osservare il movimento del sole nel corso della giornata. In particolare, immaginiamo di avere un taccuino, di registrare la data della osservazione, e di misurare con un qualche dispositivo con cadenza regolare – ad esempio allo scadere di ogni ora – l’altezza in gradi del sole rispetto all’orizzonte nel corso della giornata dall’alba al tramonto. Dato poi che la traiettoria del sole nel cielo varia lentamente nel corso dei giorni, immaginiamo di ripetere la stessa operazione nei giorni seguenti fino a completare l’intero anno. Avremo infine un taccuino composto di 365 fogli, ognuno dei quali compilato con una data e con una serie di numeri che forniscono l’altezza in gradi del sole rispetto all’orizzonte per ogni ora della giornata selezionata. Con tutta evidenza un simile taccuino può svolgere la funzione di orologio. Infatti, immaginiamo di essere a San Giovanni in Persiceto il giorno 12 Giugno e di verificare che in un certo momento della giornata il sole ha una altezza di 60 gradi rispetto alla linea dell’orizzonte. Potremo sfogliare il nostro taccuino selezionando la pagina del 12 Giugno e scorrere le altezze del sole fino a trovare il valore di 60 gradi, l’ora corrispondente fornirà l’ora in cui è stata effettuata la misura come farebbe un qualunque orologio. Sulla falsariga dell’esempio fatto, potremmo affermare che l’astrolabio integra le funzioni dello strumento di misura e del taccuino. Infatti, su di un lato contiene un semplice strumento per misurare l’altezza in gradi del sole rispetto all’orizzonte come farebbe un moderno sestante, mentre sull’altro lato contiene un ingegnoso dispositivo meccanico che riproducendo fedelmente sul piano i movimenti delle stelle e del sole può anche fornire l’altezza del sole rispetto all’orizzonte in ogni momento della giornata per ogni giorno dell’anno. Dunque, misurata l’altezza del sole sull’orizzonte di valore 60 gradi con un lato dello strumento, si dovrà passare sull’altro lato disponendolo in modo tale da riprodurre il moto del sole nella giornata del 12 Giugno, poi si muoverà il sole fino a quando la sua altezza rispetto all’orizzonte non raggiunga il valore di 60 gradi misurato poco prima: una semplice scala permetterà infine di convertire la posizione del sole nel cielo nell’ora corrispondente con una approssimazione dell’ordine dei 15 minuti! Come anticipato la funzione di orologio può essere svolta anche di notte. In questo caso risulterà necessario misurare l’altezza di una stella luminosa di riferimento rispetto all’orizzonte con il primo lato dello strumento, poi passare sul secondo lato e ruotare il cielo ed il sole fino a quando la stella di riferimento non raggiunga l’altezza sull’orizzonte misurata poco prima: la stessa scala di prima permetterà di convertire la posizione del sole nel cielo nell’ora corrispondente.

Come accennato, essendo una proiezione piana del cielo e dei suoi movimenti, l’astrolabio può risolvere tutti i problemi di astronomia pratica. Ad esempio, dato un giorno dell’anno, può fornire l’ora del sorgere o del tramonto del sole. Impiegato con abilità, può addirittura fornire la posizione della luna e dei pianeti che non sono riportati sull’astrolabio poiché dotati di un moto troppo complesso. In terra può essere adoperato come teodolite e dunque fornire l’altezza di un campanile una volta misurata la lunghezza della sua ombra mentre in mare può fornire la distanza da un certo riferimento una volta nota la sua altezza.

La proiezione sul piano della sfera armillare su cui si basa l’astrolabio è fondata sul concetto matematico di ‘proiezione stereografica’ definita dalla seguente costruzione geometrica.

Data una sfera (nel nostro caso la sfera armillare):

  1. si sceglie un punto di riferimento V detto punto di vista (nel nostro caso il polo sud della sfera armillare);
  2. si sceglie un piano di proiezione P (nel nostro caso il piano equatoriale della sfera armillare);
  3. si congiunge la posizione A di un astro sulla sfera armillare con il punto di vista V;
  4. l’intersezione del segmento AV con il piano di proiezione P individua un punto A’ immagine dell’astro sul piano di proiezione P;
  5. ripetendo l’operazione per gli astri più luminosi della sfera armillare possiamo allora costruire la loro immagine sul piano di proiezione P.

Il punto di forza di questo tipo di proiezione è legato alle seguenti proprietà:

  1. qualunque cerchio tracciato sulla sfera armillare si proietta in un cerchio sul piano di proiezione P;
  2. gli angoli tracciati sulla sfera armillare si proiettano in angoli della stessa ampiezza sul piano di proiezione P (isogonia).

Senza scendere in ulteriori dettagli tecnici, vale la pena sottolineare che la grande importanza della proprietà i). Infatti, essendo l’astronomia greco-alessandrina basata sul cerchio, tale proprietà garantisce che tutti cerchi sulla sfera si proietteranno in altrettanti cerchi sul piano, un fatto di grande rilevanza pratica che permette di realizzare con precisione la complessa trama di curve dell’astrolabio con un semplice compasso.

Fatte queste premesse procediamo alla costruzione dell’astrolabio.

Immaginiamo allora di circondare la terra con una sfera concentrica:

  1. consideriamo un osservatore sulla terra posto ad esempio a San Giovanni in Persiceto;
  2. innalziamo la sua perpendicolare fino ad intersecare la sfera in un punto detto zenith;
  3. a partire dallo zenith tracciamo un sistema di linee meridiane lungo la sfera fino al punto opposto detto nadir; iv) tracciamo sulla sfera un sistema di cerchi paralleli perpendicolari alle linee meridiane fino a quello coincidente con l’orizzonte dell’osservatore (giacente sul piano tangente alla sfera che va quindi tracciato). In questo modo, la sfera risulterà ripartita da un sistema di linee simile a quello di un comune mappamondo centrato sul nostro osservatore che potrà facilmente associare ad ogni astro le sue coordinate oppure, inversamente, dalle coordinate risalire all’astro corrispondente. A questo punto, eseguiamo la proiezione stereografica del suddetto sistema di linee dalla sfera sul piano o meglio su di una porzione circolare del piano che andrà a costituire la lamina, il primo pezzo dell’astrolabio che porta dunque impresso il sistema di linee meridiane e parallele dell’osservatore (vedere figura).
  4. Consideriamo ora le stelle più luminose del cielo che possiamo pensare essere infisse sulla sfera armillare ed eseguiamo la proiezione stereografica delle loro posizioni sul piano (vedere figura). Consideriamo poi il sole, o meglio il cammino circolare del sole tra le stelle detto eclittica, ed eseguiamone la proiezione stereografica sul piano che risulterà essa stessa circolare (vedi figura). Indichiamo ora le proiezioni delle stelle con delle punte o fiammelle, connesse tra loro per mezzo di una trama rigida e rarefatta in modo tale da essere il più possibile trasparente, che i migliori costruttori hanno trasformato in capolavori di abilità, fantasia e gusto (vedi figura). Si completa così la fiamma, il secondo pezzo dell’astrolabio.

Prendiamo ora il supporto che funge da scheletro dell’astrolabio e viene detto madre, alloggiamo la lamina al suo interno fissandola e sovrapponiamo ad essa la fiamma in modo tale che possa ruotare liberamente attorno ad un perno centrale assieme ad un ago la cui utilità sarà chiarita (vedi figura). Al di la dei dettagli tecnici dovrebbe essere chiaro che la rotazione dalla fiamma sulla lamina realizza una proiezione piana della rotazione degli astri del cielo sullo sfondo fisso immaginario delle linee meridiane e parallele del sistema di coordinate dell’osservatore che sostanzialmente descrive la funzione della prima faccia dello strumento.

Consideriamo ora il dorso dell’astrolabio, la parte più variabile, in qualche modo legata all’utilizzo specifico dello strumento. L’elemento più caratteristico e presente in ogni versione è l’alidada, un regolo rotante, imperniato al centro del dorso, con due sporgenze forate alle estremità. Guardando gli astri attraverso il doppio forellino risulta possibile misurare la loro altezza sull’orizzonte attraverso la scala graduata più esterna suddivisa in gradi.

Procedendo verso il centro, troviamo quasi sempre due scale graduate per misurare la posizione del sole, la prima in longitudini celesti zodiacali, la seconda in giorni del calendario. Già gli astronomi alessandrini sapevano bene che il moto del sole in longitudine non avviene a velocità costante, un fatto che complica la corrispondenza tra le due scale. Il problema può essere risolto con una graduazione non uniforme della scala delle longitudini oppure – soluzione tecnicamente più semplice e molto più elegante – decentrando opportunamente la scala dei giorni rispetto a quella delle longitudini facendo così appello ad uno dei capisaldi della astronomia greco-alessandrina. Questa soluzione ha una interessante conseguenza. Infatti, dato che la direzione della eccentricità del moto solare rispetto allo zodiaco varia nel tempo a causa della precessione degli equinozi, l’osservazione della direzione del decentramento scelta dal costruttore permette di datare l’astrolabio con una precisione di circa 100 anni.

Più internamente ancora si trova spesso una tavola analogica delle tangenti e delle cotangenti che permette di convertire gli angoli i quozienti di cateti e viceversa, un regolo calcolatore di funzioni trigometriche a tutti gli effetti, vero antesignano dei regoli calcolatori che hanno dominato la matematica pratica fino all’avvento dell’elettronica.