Approfondimento: Il pendolo tra Galileo Galilei e Christian Huygens

La crescente precisione nella realizzazione delle diverse componenti migliorò sensibilmente le prestazioni dell’orologio meccanico. Alla fine del ‘500 i migliori orologi potevano perdere alcuni minuti al giorno, un grado di precisione accettabile nella vita civile ma insoddisfacente in ambito scientifico dove il tempo misurato per via astronomica – attraverso il passaggio meridiano del sole o delle stelle ad esempio – poteva essere determinato con una precisione dieci e più volte maggiore.

Verso il 1580 il grande astronomo Tycho Brahe scriveva “benché sia I’illustrissimo principe (Guglielmo d’Assia, esso stesso valente astronomo e mecenate che aveva chiamato Tycho Brahe presso la propria corte a Kassel), sia io abbiamo messo ogni impegno nel tentativo di costruire orologi della massima precisione, capaci di indicare non solo le ore, ma anche i minuti primi e secondi in modo costante, tuttavia, essi per molte ragioni non riescono ad essere esatti, né a coincidere con le leggi del cielo in qualsiasi momento e con andamento durevolmente uniforme, come sarebbe necessario in una ricerca di tale sottigliezza”. Scoraggiato dalla imprecisione dell’orologio meccanico, anche nella versione proposta dal miglior tecnico del tempo (Jost Burgi che aveva appositamente inventato il doppio bilanciere a foliot), Tycho Brahe, negli anni attorno al 1587, pensò addirittura di tornare alle antichissime tecniche dei babilonesi perfezionando le clessidre ad acqua e sabbia.

E’ in questo contesto di diffuso scetticismo verso l’utilizzo dell’orologio meccanico in ambito scientifico che si inseriscono i rivoluzionari contributi di Galileo Galilei (1564-1642) alla misura del tempo. Acutamente consapevole della necessità di disporre di strumenti precisi per condurre gli accurati esperimenti sulla meccanica e sull’astronomia che aveva in mente, Galileo scoprì le straordinarie proprietà del pendolo e comprese lucidamente che – impiegato come oscillatore all’interno dell’orologio al posto del foliot – avrebbe potuto condurre l’orologio meccanico alla precisione necessaria.

Secondo Vincenzo Viviani, che di Galileo fu allievo, il punto di svolta data intorno al 1583 quando il maestro ancora attendeva agli studi di medicina: dopo avere accennato al noto episodio del Duomo di Pisa dove Galileo aveva osservato le oscillazioni di una lunga lampada pendente, il Viviani afferma che il maestro “si accertò dell’ugualità delle sue vibrazioni, e per allora sovviennegli di adattarla all’uso della medicina per la misura della frequenza dei polsi”. Era la prima intuizione della legge dell’isocronismo del pendolo che seguendo Galileo formuliamo nel modo seguente: i pendoli di uguale lunghezza hanno tutti lo stesso tempo di oscillazione indipendentemente dalla ampiezza della stessa.

Galileo citò nuovamente questa legge nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo pubblicato a Firenze nel 1632 e soprattutto nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze pubblicato a Leida nel 1638 dove ne studiò a fondo gli aspetti quantitativi.

Ecco le parole con le quali Salviati (amico di Galileo e protagonista dei suoi dialoghi scientifici) spiega la scoperta galileiana secondo la quale il tempo di oscillazione del pendolo è indipendente dall’ampiezza della stessa: “continuando le sue vibrazioni, dopo gran numero di quelle si riduce finalmente alla quiete. Ciascheduna di tali vibrazioni si fa sotto tempi eguali, tanto quella di novanta gradi, quanto quella di cinquanta, di venti, di dieci e di quattro”.

Poi seguono quelle che illustrano che il tempo di oscillazione è indipendente dalla grandezza della massa appesa: “e finalmente ho preso due palle, una di piombo ed una di sughero […] e ciascheduna di loro ho attaccata a due sottili spaghetti eguali, lunghi quattro o cinque braccia, legati ad alto; allontanata poi l’una e l’altra palla dallo stato perpendicolare, gli ho dato l’andare nell’istesso momento […] e reiterando ben cento volte per lor medesime le andate e le tornate, hanno sensatamente mostrato, come la grave […] né in ben cento vibrazioni, né in mille, anticipa il tempo d’un minimo momento, ma camminano con passo egualissimo”.

Infine le parole che affermano che il tempo di oscillazione è proporzionale alla radice quadrata della lunghezza del pendolo “Quanto poi alla proporzione de i tempi delle vibrazioni di mobili pendenti da fila di differente lunghezza, sono essi tempi in proporzione suddupla delle lunghezze delle fila”.

Negli stessi anni in cui Galileo studiava sempre più a fondo le proprietà del pendolo ne comprendeva anche l’enorme potenziale qualora impiegato come oscillatore all’interno dell’orologio. Infatti, avendo mostrato che il tempo della oscillazione del pendolo non dipendeva dalla ampiezza della stessa, né dalla massa appesa, ma solo dalla lunghezza del filo, ne derivava che fosse sufficiente fissare la lunghezza del pendolo per avere un tempo di riferimento, facilmente riproducibile e sempre uguale a sé stesso, ovvero quell’uniforme battito interno che invece mancava al foliot. Una lettera di Galileo datata 5 Giugno 1637 a Laurens Reael (Lorenzo Realio) – un esperto cultore delle discipline scientifiche già funzionario degli Stati Generali, vice Ammiraglio e governatore dei possedimenti olandesi nelle Indie Orientali – dimostra questo passaggio fondamentale: “E siccome la fallacia degli orologi consiste principalmente nel non s’essere sin qui potuto fabbricare quello che noi chiamiamo il tempo dell’orologio, tanto aggiustatamente che faccia le sue vibrazioni eguali; così in questo mio pendolo semplicissimo, e non suggetto ad alterazione alcuna, si contiene il modo di mantenere sempre egualissime le misure del tempo”.

Le rivoluzionarie intuizioni di Galileo e la stessa pubblicazione a Parigi nel 1639 di un lavoro sulla costruzione e sull’uso del nuovo orologio – L’usage du quadran ou De l’horloge physique universel sans l’ayde du soleil ny d’autre lumière – tardano però a concretizzarsi tanto che la prima realizzazione di un orologio a pendolo secondo le indicazioni di Galileo giungerà postuma nel 1649 attraverso il figlio Vincenzo. Una realizzazione forse non perfetta che però proponeva anche un nuovo tipo di scappamento anticipando un problema che si chiarirà nei decenni seguenti che dimostreranno quanto fosse inadatto il vecchio scappamento a verga con il nuovo oscillatore a pendolo.

Le opere di Galileo, note in tutta europa, diffusero i suoi rivoluzionari studi sulla astronomia, sulla meccanica ed anche sulla misura del tempo producendo ben presto importanti risultati.

Nel 1656 il grande fisico olandese Christian Huygens, lavorando assieme all’orologiaio Salomon Coster di Amsterdam, realizzerà un orologio con un tradizionale scappamento a verga ma un innovativo sistema di sospensione del pendolo per mezzo di un filo che ne incrementava notevolmente la precisione, una soluzione semplice ed efficace che rese immediatamente celebre in tutta europa il nome di Huygens. Una soluzione immediatamente adottata anche nei vecchi orologi che furono riconvertiti quasi ovunque tanto che oggi è assai difficile trovare oggi orologi antichi che conservino il loro foliot. Una soluzione però che fu all’origine di un’aspra controversia scientifica e commerciale. Infatti venne accreditato come inventore dell’orologio a pendolo per cui in italia Viviani, un allievo di Galileo, non esitò ad accusarlo di plagio. Oltralpe invece, si era soprattutto interessati a non pagare i diritti sull’invenzione per cui la francia rifiutò ripetutamente la concessione del brevetto già ottenuta in olanda nel 1657.

Così come non può essere messo in dubbio il primato di Galileo nella invenzione dell’orologio a pendolo, sono altrettanto fuori di dubbio i fondamentali contributi di Huygens alla comprensione teorica delle sue proprietà, in particolare quella spinosissima del perfetto isocronismo delle sue oscillazioni. Già Galileo e Padre Mersenne si erano resi conto che le oscillazioni ampie non avevano esattamente la stessa durata di quelle piccole, tuttavia non erano giunti a comprendere la vera causa di questo fatto (Galileo pensava ciò fosse dovuto all’attrito dell’aria). Huygens mostrò invece che ciò era una conseguenza inevitabile delle leggi della meccanica e che per avere un tempo di oscillazione davvero indipendente dall’ampiezza della stessa era necessario che il pendolo scendesse non lungo un arco di cerchio ma lungo un arco di cicloide una curva che aveva la proprietà di essere tautocrona. Dato che l’arco di cicloide si differenzia sensibilmente dall’arco di cerchio solo quando l’arco è sufficientemente ampio ciò spiegava per quale motivo si osservavano sensibili deviazioni dall’isocronismo nel solo case delle oscillazioni pendolari ampie (ciò che gli orologiai chiamano errore circolare). Uno straordinario risultato teorico che Huygens pubblicò all’Aia nel 1658 nel suo lavoro Horologium e che riesporrà, assieme ad altri fondamentali contributi alla meccanica, nel suo celebre Horologium oscillatorium: sive de motu pendulorum ad horologia aptato dimostrationes geometricae pubblicato a Parigi nel 1673.

Galileo ed Huygens erano i massimi studiosi di meccanica del loro tempo ed i loro studi indirizzarono immediatamente il lavoro dei migliori costruttori di orologi. Già nel 1656 il torinese Camerini costruiva i primi orologi pendolo. Negli stessi anni il tedesco Johann Philipp Treffler – poi orologiao di corte dei Medici – ne costruì uno su progetto di Galilei mentre l’olandese John Fromateel, basandosi sul brevetto di Huygens, diffuse i nuovi orologi in inghilterra. Basandosi sui propri studi, lo stesso Huygens realizzò l’innovativo orologio con pendolo cicloidale che modulava la lunghezza del filo in modo tale da fare scendere la massa lungo un’arco di cicloide. Impeccabile sul piano teorico, ma assai complicato da gestire per cui non ebbe alcun seguito.

Benchè imperfetti, questi primi orologi a pendolo si diffusero in tutta europa e prepararono il terreno ad una serie di successivi e decisivi miglioramenti che porteranno l’orologio meccanico con pendolo al massimo grado di perfezione.