Approfondimento: Meridiana egizia

L’idea di identificare i diversi momenti della giornata per mezzo della direzione e/o della lunghezza dell’ombra di un semplice bastone infisso la suolo è certamente antichissima e ci sono indicazioni che sistemi più evoluti basati su questo principio fossero noti agli egizi già nel 2500 a.C. Il primo documento scritto è però successivo, collocandosi nel regno di Thutmose III, un faraone della XVIII dinastia vissuto tra il 1481 a.C. ed il 1425 a.C, così come l’unica immagine nota nella tomba di Seti I, un faraone della XIX dinastia vissuto tra il 1324 a.C. ed il 1279 a.C. Questi documenti descrivono una meridiana solare a forma di L effettivamente rinvenuta in egitto agli inizi del ‘900 ed ora in possesso del Museo Egizio di Berlino con il numero di inventario 19744. Il manufatto, realizzato in ardesia verde, costituisce la più antica meridiana solare ad oggi nota e risulta fedelmente riprodotto nell’esemplare di alluminio? mostrato nella teca AA.

Il principio generale di funzionamento è abbastanza semplice. Il manufatto doveva essere disposto in piano con l’ausilio di un filo a piombo ed orientato nella direzione est-ovest. In particolare il blocchetto verticale doveva essere tenuto a sinistra dall’alba a mezzogiorno e a destra da mezzogiorno al tramonto in modo tale che il braccio orizzontale potesse intercettare la sua ombra. Con tutta probabilità, sul blocchetto verticale si doveva appoggiare una barra di spessore opportuno disposta nella direzione nord-sud in modo tale che l’ombra della stessa intercettasse sempre il braccio orizzontale. La posizione dell’ombra indicava le diverse ore della giornata ad eccezione dell’alba e del tramonto quando i raggi, viaggiando paralleli alla superficie terrestre, proiettavano l’ombra all’infinito, e con il caso particolare del mezzogiorno, quando l’ombra cadeva invece alla base del blocchetto verticale.

Ciò premesso, osserviamo che sono impresse cinque tacche. Tenendo conto che all’alba ed al tramonto deve corrispondere una tacca all’infinito e al mezzogiorno una tacca alla base del blocchetto, deduciamo che gli egizi ripartivano il tempo intercorrente tra alba e mezzogiorno in sei parti e quello intercorrente tra mezzogiorno e tramonto in altre sei parti e dunque una divisione del tempo compreso tra alba e tramonto in dodici parti o ore (dal latino hora e dal greco ora, intervallo di tempo).

Così, partendo dal fondo ovvero dalle ombre più lunghe, riconosciamo le tacche corrispondenti alle ore 1, 2, 3, 4 e 5 dopo l’alba, ricordando che la ora 6, corrispondente a mezzogiorno, darà un’ombra alla base del blocchetto. Invertendo poi il manufatto, partendo dal blocchetto ovvero dalle ombre più corte, le stesse tacche indicheranno le ore 1, 2, 3, 4 e 5 dopo il mezzogiorno, ricordando che la ora 6, corrispondente al tramonto, darà un’ombra all’infinito.

Inevitabile conseguenza di questo modo di operare è che, dividendo in dodici parti il tempo compreso tra alba e tramonto, le ore diurne avevano una durata variabile nel corso dell’anno, risultando più lunghe in estate e più brevi in inverno. Sono le ore di durata variabile con le stagioni che i romani chiameranno horae temporales (ore temporali), le ore indicate in modo naturale dagli orologi solari che hanno regolato la vita civile in tutto il corso dell’antichità fino all’avvento degli orologi meccanici nel XIV secolo della nostra era.

Nel caso specifico del manufatto in esame rimane un mistero la regola secondo la quale venivano distanziate le cinque tacche. La raffigurazione nella tomba di Seti I sembra indicare una semplice proporzione numerica che attribuendo alla prima tacca valore 1 darebbe alle tacche successive valore 3, 6, 9 e 12. Una regola semplice ma imprecisa che comporterebbe notevoli differenze di durata nelle ore diurne che così non sarebbero tutte eguali, un problema che gli orologi solari delle epoche successive vorranno risolvere