Approfondimento: Scaphes
Le conoscenze geometriche e astronomiche degli scienziati alessandrini fornirono la base teorica, valida ancora oggi, per sviluppare diverse tipologie di orologi solari e Vitruvio – un architetto e scrittore romano (80 a.C.-15 a.C.) – nel capitolo IX del De Architectura (scritto attorno al 25 a.C.) fornisce un’ampia rassegna delle diverse tipologie spesso realizzate dai romani, grandi costruttori, in esemplari di enormi dimensioni
Nel suo tratatto, Vitruvio attribuisce l’invenzione dello Scaphes o Emispherium a Beroso (350 a.C.-270 a.C.), un astronomo babilonese contemporaneo di Alessandro Magno che probabilmente contribuì alla sua diffusione nel mondo greco. In effetti nei decenni seguenti doveva essere ben noto almeno nella comunità scientifica greco-alessandrina dato che Eratostene (276 a.C.-194 a.C.) – almeno secondo la testimonianza di Claomede – se ne servì per la prima spettacolare misura della circonferenza terrestre. La successiva conquista romana diffuse la cultura greca in tutto l’occidente e con essa anche lo Scaphes che divenne uno strumento quasi immancabile nella parete meridionale delle ville romane di alto rango.
Il principio di funzionamento dello Scaphes è una limpida ed elegante traduzione pratica delle cognizioni geometriche ed astronomiche della scienza greco-alessandrina. Si consideri la sfera armillare posta al centro della stanza. Il sole, da una certa posizione della sfera celeste, illumina la terra la quale proietta un’ombra in posizione diametralmente opposta sulla stessa sfera celeste. Con tutta evidenza la rotazione della sfera celeste muove il sole e l’ombra della terra con lo stesso moto regolare attorno alla terra stessa. A mezzogiorno il sole si troverà esattamente a sud mentre l’ombra della terra si troverà esattamente a nord, di li il sole si muoverà compiendo un giro attorno alla terra in 24 ore e così farà l’ombra della terra nello stesso tempo quasi fosse la lancetta di un orologio meccanico in movimento su un quadrante segnato con 24 piuttosto che 12 ore.
Se ora immaginiamo di contrarre il globo terrestre alla punta di un’asta metallica e di ridurre il raggio della sfera celeste fino farla diventare la superficie di una cavità sferica scavata nel marmo, comprendiamo facilmente che la luce del sole ritroverà la medesima situazione geometrica di prima solo enormemente ridotta in dimensioni. Allora, l’ombra della punta metallica si muoverà sulla superficie della cavità con la stessa regolarità del sole nel cielo e potrà così scandire il succedersi delle ore della giornata in tutto l’arco di tempo compreso tra l’alba ed il tramonto.
Lasciando immutato il sole, lo Scaphes funziona in quanto semplice riduzione in scala della terra e della sfera celeste. Dato che l’ombra, come il sole, si muove di moto regolare la marcatura della superficie è assai semplice: si può dividere il cammino dell’ombra dall’alba al tramonto in 12 parti uguali ottenendo le cosiddette ore temporali oppure si può dividere l’intera superficie in 24 parti uguali ottenendo le cosiddette ore astronomiche.
Concettualmente perfetto, la vera limitazione tecnica di questo orologio solare è legata alla precisione con la quale si poteva allora produrre una cavità sferica nella pietra che rimaneva piuttosto modesta anche dopo una lunga lavorazione. Per questa ragione si preferì proiettare l’ombra della punta metallica su di una superficie piana orizzontale o verticale più facili da lavorare con precisione complicando però notevolmente la trama delle linee che marcano le ore. Non è difficile comprendere che si tratta di proiettare la trama regolare delle linee orarie della superficie dello scaphes su di una superficie piana dando luogo a complesse deformazioni delle stesse tuttavia matematicamente ricostruibili attraverso la trigonometria sferica